Dopo l'interessamento dello Stato all'acquisizione di Villa Verdi pubblichiamo l'articolo di Salvatore Giannella sul blog Giannella Channel.
A Hong Kong, dove è ancora vivo il ricordo del successo ottenuto nel prestigioso Hong Kong Arts Festival dal Teatro San Carlo in tournée con la Traviata e Viva Verdi, arriva la notizia che la villa-museo di Verdi nella Bassa Padana, a causa delle liti tra eredi, sarà venduta. La Regione Emilia-Romagna (con il presidente Bonaccini e l’assessore alla Cultura Felicori, autore della legge sulle Case delle persone illustri*) e lo Stato (con il ministro Sangiuliano) sono impegnati nel trovare una soluzione istituzionale. E intanto io ricordo quando il pronipote Alberto mi raccontò per Oggi il volto sconosciuto dell’autore del Va, pensiero, sull’ali dorate: quello di contadino, che introdusse moderne innovazioni nella casa di campagna: rudimentali termosifoni, stalle efficienti, sistemi di irrigazione avveniristici.
Sant’Agata (Piacenza), 2000. Maestro insuperabile nella musica, ma anche genio dei campi, creativo motore di un piccolo mondo antico della Bassa Padana che amò per tutta la vita e fu suo rifugio dopo i trionfi nei teatri del mondo, remoto dal chiasso e dall’ingombro delle città: l’altro volto di Giuseppe Fortunino Verdi, quello meno conosciuto ma non meno affascinante, è conservato in una villa di campagna, a tre chilometri da Busseto e dalla frazione bussetana dove nacque il 10 ottobre 1813, Roncole. Qui, nel territorio di Sant’Agata (frazione di Villanova sull’Arda, per qualche centinaio di metri fuori dal territorio parmense e dentro la provincia di Piacenza) a vegliare sulla sua memoria è il pronipote di Verdi, Alberto Carrara Verdi, 77 anni, notaio in Busseto da 45, che ci viene incontro nelle stanze della villa per la prima volta disadorne. La spiegazione è semplice: il notaio Alberto ha accettato di far uscire dalle mura di Villa Verdi la camera del Maestro, il suo tavolo da lavoro e gli spartiti in direzione Milano, dove da giovedì 16 novembre fino al 25 febbraio 2001 sarà aperta al pubblico, a Palazzo Reale, la mostra Giuseppe Verdi. L’uomo, l’opera, il mito, annunciato nel catalogo Skira come “l’evento espositivo più importante dedicato a Verdi nel primo centenario della sua scomparsa”, avvenuta proprio a Milano il 27 gennaio 1901.
Il notaio sgombra il campo da due preliminari curiosità: riguardano la filiera familiare e l’acquisto della villa da parte di Verdi.
Essendo morto il maestro senza eredi, egli lasciò come erede universale la nipote Maria Filomena Verdi, nonna di Alberto, che andò sposa al notaio Angelo Carrara. Nel 1928 gli eredi ottennero dal re Vittorio Emanuele III di poter unire al loro cognome quello di Verdi.
In questo angolo di Bassa Padana il musicista tornò da proprietario, a 35 anni, il 25 maggio 1848. La data è ricordata in un’affettuosa lettera, ancora oggi conservata dalla seconda moglie di Verdi, Giuseppina Strepponi, all’amica di Milano, la contessa Clara Maffei. “Verdi comperò il latifondo di Sant’Agata e io che avevo mobiliato una casa in Milano e un’altra a Parigi, dovetti organizzare un rifugio nei nuovi possedimenti dell’illustre professore di Roncole”.
Perché il ritorno nelle terre natie, dove il nuovo amore con la Peppina, avvenente primadonna del melodramma italiano, era stato accolto con rancori e ostilità palesi dai bussetani che avevano adorato la prima moglie, la concittadina Ghita Barezzi, figlia del mercante che lo aveva spinto agli studi della musica, morta a Milano subito dopo i due figli avuti da Verdi?
L’alibi viene da un piccolo torrente, oggi guardato con timore dagli abitanti del posto, perché quando piove tanto, come in occasione delle ultime alluvioni, il rio si gonfia e allaga tutto: l’Ongina.
La spiegazione non è poi tanto ardua. Appena di là dall’Ongina, c’è il comune di Busseto. Ma Sant’Agata appartiene a Villanova sull’Arda. Siamo sempre nel Ducato dei Borboni di Parma che hanno ripreso di malavoglia il trono dopo che Maria Luigia d’Austria ha chiuso gli occhi. Si può guardare senza essere visti. Lo stesso cielo, la stessa aria, la stessa cantilena dei dialetti, eppure Sant’Agata è un’altra cosa: una zona franca contro il pettegolezzo.
Quando Verdi acquista il latifondo, nel 1848, non vi sono che malandate cascine e ipoteche da onorare. Il Maestro s’impegna con le banche per un rimborso graduale, si rimbocca le maniche e comincia facendo prima di tutto il muratore “per evitare”, come scrive al conte Arrivabene, “che qualche tetto debba cadere e qualcuno finisca con l’accopparsi…”.
“Muratore è poco”, assicura il notaio Alberto. “Fa l’architetto, disegnando con le sue mani l’ampliamento della villa e le rifiniture: per esempio, abbiamo trovato tra le carte i disegni autografi della stalla con la camera dello stalliere al primo piano e una finestrella che poteva permettere al sorvegliante di dare un’occhiata ai cavalli dall’alto, anche di notte. Tutti i fogli che hanno piacevolmente sorpreso, per la loro professionalità, Pier Luigi Cervellati, l’architetto grande firma che ha curato i recenti lavori di recupero della casa natale di Verdi, a Roncole”.
Fa anche l’arredatore delle stanze, che vive intensamente, una.per una. Si preoccupa e si occupa di dotarle dei primi, rudimentali impianti di riscaldamento: costruisce due caldaie sotterranee che portano soffi di aria calda attraverso cunicoli che sfociano in finestrelle scavate nei muri delle varie stanze. Uno sforzo motivato dall’obiettivo di adattare la villa al soggiorno invernale: abitualmente si ferma a Sant’Agata da aprile a ottobre, poi si sposta verso il clima mite di Genova dove abita prima a Palazzo Sauli e poi a Palazzo Doria, facendo il pendolare con Milano, Parigi e le capitali teatrali di mezzo mondo.
Ma è il contadino che dorme in lui a svegliarsi proprio a Sant’Agata. Il contadino con i suoi difetti. E’ sospettoso, geloso della sua roba: “Dirai a Lamour che nei fondi bene amministrati lo strame e la paglia si devono fare in casa e non spendere centinaia di franchi per comprarne tre… Fate tagliare le pioppe e necessarie per fare legname per fabbricare… Non fate domare la puledra. Non amo questo, perché i cavalli si manterranno sani e diventeranno grossi e pesanti come quelli del Rosso”.
Ma soprattutto, e qui viene la sorpresa, il “contadino eroe“, forza travolgente della natura, tutto sangue terra”, come lo ricorda il direttore della biblioteca di Busseto, Corrado Mingardi.
Dottor Alberto è giustificata la fama del suo prozio come “genio dei campi?”
“Sì, decisamente”, risponde il notaio. E motiva perché: “A Verdi, vissuto da piccolo in un mondo senza sciali, anzi con molte restrizioni, come accadeva e accade tutt’oggi, ai figli dei contadini poveri piaceva molto l’idea di ritornare nella sua terra a fare soprattutto l’agricoltore. Per questo comprende, oltre alla villa, anche i campi circostanti. Paga in parte sull’unghia con i soldi guadagnati dal successo delle prime opere [il Nabucco ha trionfato alla Scala di Milano nel 1842, poi sono seguiti I lombardi alla prima crociata e l’Ernani, ndr] e scioglierà i debiti a mano a mano che incasserà i diritti d’autore”.
Sono terreni sterminati, 350 ettari, per intenderci l’equivalente di 486 campi di calcio come San Siro. Su di essi Verdi investe anzitutto in intelligenza. Acquista molti libri di scienze agrarie, che tuttora appesantiscono le mensole della fornitissima libreria nella villa-museo, e poi cerca di adattare le conoscenze più avanzate dell’epoca alla soluzione dei problemi della sua nuova, grande azienda agricola. Per esempio, la prima necessità è procurarsi l’acqua. Acqua potabile e gestibile, non come quella che prima era ingovernata e procurava guai e debiti ai precedenti fattori.
Poi comincia lavorare sodo, divide questi terreni in appezzamenti da 25-30 ettari e costruisce sopra nuove stanze, stalle, fienili e li dota di mezzadri (cioè di agricoltori che a fine raccolto cedono il 50 per cento al proprietario dei terreni: latte, granoturco, barbabietole, uva e vino) e di terziari, che trattenevano un terzo del raccolto.
Si muove con decisione e investe anche se manca la certezza che le spese ritorneranno con un guadagno: ottiene dal governo di poter chiudere il torrente Ongina e, attraverso un canale sotterraneo, fa entrare l’acqua in un pozzo costruito nella sua proprietà per poter avere una costante riserva d’acqua per irrigare i campi. Compra in Inghilterra una delle prime, stupefacenti macchine a vapore per sollevare l’acqua dal pozzo; acqua con cui alimentare un laghetto artificiale tuttora esistente, e i campi. Fa costruire altri tre pozzi per l’acqua potabile, uno di essi destinato solo ai cavalli.
Il fondo della valle viene tenuto a prato stabile per i cavalli: ne ha quattro in villa, più altri in una stalla a Ongina qui vicino, tenuta da uno stalliere, dove ogni tanto viene per ammirare i cavalli. Arriva alla stalla in carrozza attraversando un ponte sull’Ongina che ha fatto costruire per “legare” le tenute. Quali cavalli preferisce? Un baio che si chiama Bello e una cavalla nera di nome Stella comprata in Provenza durante l’inverno.
Compra poi due poderi vicino a Fiorenzuola, a 15 chilometri, perché lì nascono due sorgenti d’acqua che lui canalizza, fa passare da Pesenzone, dove costruisce un mulino, e proseguire per 5 chilometri alle Tre Case dove costruisce un altro mulino e da dove parte una derivazione che porta l’acqua nei campi, finalmente floridi, di Sant’Agata.
Insomma Verdi si muove nella vita quotidiana con una curiosa attitudine che ritroviamo, fatte le debite proporzioni, con quanti ancora oggi guadagnano del mondo dello spettacolo e spendono in quello dell’agricoltura: artisti come, uno su tutti, Al Bano….