Il testo integrale dell'articolo scritto da Sigfrido Bartolini per il quotidiano Libero (28 ottobre 2000) in occasione della mostra "Scuderie Papali al Quirinale"
«Novantadue pergamene di notevole formato, 325 x 475 millimetri, quanto ci resta di un'impresa che avrebbe potuto rappresentare un gioiello unico e particolare nella storia, pur ricca di capolavori, del Rinascimento: novantadue episodi della "Commedia" dantesca dipinti dal Botticelli, ma rimasti invece allo stadio di disegni seppure di una bellezza e di un interesse indicibili.
Proviamo a immaginare il raffinato pittore fiorentino che tra una pala d'altare e una allegoria pagana riceve da Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, cugino in secondo grado di Lorenzo il Magnifico, l'incarico d'illustrare la "Divina Commedia". Anche se le "botteghe" dei pittori, dal Medioevo e fino al Settecento, erano disponibili per le più svariate ordinazioni che potevano andare dalla decorazione di un palio, di uno stemma, un cassone da sposa, una pala d'altare o una decorazione murale, e quindi abituate alle richieste più impensate, la proposta del Medici deve aver fatto riflettere il Botticelli, sia per il caso, nuovo per lui, di dover commentare pittoricamente un poema come la "Commedia", vuoi al pensiero che, se una richiesta del genere veniva fatta a lui vuol dire che ci si aspettava qualcosa di veramente notevole, di unico. Tutto questo, se poteva da un lato lusingarlo, dall'altro gli prospettava il pensiero di un lavoro lungo e paziente, alle prese con un testo da leggere e rileggere per stabilire il soggetto da illustrare, ogni volta diverso eppur legato agli altri e chissper quante volte.