Casa del Petrarca ad Arquà (Padova)
"Mi sono costruito sui colli Euganei una piccola casa, decorosa e nobile; qui conduco in pace gli ultimi anni della mia vita, ricordando e abbracciando con tenace memoria gli amici assenti o defunti" (Francesco Petrarca, Senili, XIII, 8, lettera a Matteo Longo, 6 gennaio 1371).
Nel 1369 Francesco Petrarca (Arezzo 1304 - Arquà 1374), stanco del continuo peregrinare, ormai anziano e malato, si fece riadattare una casa nel villaggio euganeo di Arquà e la elesse a rifugio degli ultimi giorni. Qui trascorse in pace gli ultimi anni di vita, circondato da nuovi e vecchi amici e dai familiari: la figlia Francesca, il genero Francescuolo da Brossano, la nipotina Eletta. Qui continuò ad attendere ai suoi studi. Qui infine morì nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1374, secondo la tradizione, reclinando il capo sui suoi amati libri.
La storia della casa
La casa fu forse donata a Petrarca da Francesco I da Carrara, signore di Padova e amico sincero del poeta. Petrarca decise di restaurarla adeguandola alle sue esigenze e seguendo personalmente i lavori.
Fece unire i due corpi di fabbrica preesistenti che la costituivano e adibì ad abitazione per sé e la sua famiglia il piano sopraelevato dell'edificio sito a sinistra (rispetto a chi guarda) e riservò alla servitù e ai servizi l'edificio a destra, sito più in alto, dove si trovava anche l'ingresso principale. Sul davanti c'era il giardino, sul retro il brolo: alla cura delle piante Petrarca dedicava molta attenzione, anche se non sempre con successo.
All'interno della casa il poeta fece modificare la distribuzione degli ambienti: nella parte padronale la stanza centrale divenne salone di rappresentanza e di collegamento, illuminata da una grande finestra dalla parte del giardino e chiusa da un camino dalla parte del brolo, la stanza a sinistra fu divisa in due per ricavarne uno studiolo. Furono rifatte in stile gotico le finestre, furono aggiunti due balconi e tre camini. Dopo la morte di Petrarca si succedettero diversi proprietari, ma la casa non subì sostanziali cambiamenti, nel rispetto del ricordo del poeta. Cominciava già a prendere corpo il mito della casa come luogo di memorie petrarchesche e meta di pellegrinaggio letterario e sentimentale.
Alla metà del Cinquecento il nuovo proprietario Paolo Valdezocco operò alcune modifiche nella distribuzione interna dei locali, fece aggiungere la loggetta e la scala esterna, dalla quale a tutt'oggi si accede al primo piano, e fece dipingere alle pareti gli affreschi che ancora si possono ammirare, ispirati alle opere di Petrarca. Seguirono numerosi altri passaggi di proprietà, ma la casa mantenne sostanzialmente la sistemazione datale nel Cinquecento e si confermò la sua trasformazione in museo delle memorie di Petrarca.
L'ultimo proprietario privato, il cardinale Pietro Silvestri, nel 1875 lasciò la casa in eredità al Comune di Padova, che ne entrò ufficialmente in possesso il 6 febbraio 1876.
Sala Pianterreno
La gatta di Petrarca.
Entro una fastosa cornice barocca vigila ancora immota la fedele gatta di Petrarca. Secondo la tradizione si tratta delle spoglie imbalsamate della gatta domestica del poeta, che gli faceva compagnia nelle ore di studio e di solitudine, come è raffigurata nell'affresco della Sala dei Giganti in Padova. In realtà si tratta di un'invenzione di Girolamo Gabrielli, proprietario della casa nei primi anni del Seicento. Posta fino agli anni Settanta del Novecento nell'appartamento padronale, sulla sovrapporta dell'ingresso allo studiolo nella Stanza di Venere, altrimenti detta "camera della gatta", ha sempre costituito una delle curiosità più note e di richiamo della casa.
Stanza centrale o delle Metamorfosi
Il fregio pittorico della stanza centrale rappresenta sette scene ispirate alle allegorie della canzone petrarchesca Nel dolce tempo della prima etade, numero 23 del Canzoniere, nota anche come Canzone delle metamorfosi.
I riquadri prendono avvio dall'angolo estremo della parete sinistra, di fronte all'entrata (il poeta trasformato in pianta d'alloro), continuano sulla parete di destra e terminano con la figura dell'aquila opposta all'ingresso; ai lati dell'aquila, l'ara con il fuoco inestinguibile, che né vento né pioggia possono spegnere (nec vento nec imbre) e la stella a cinque punte, simbolo di salute o forse di nodo inestricabile.
Stanza di Venere
La stanza, chiamata così dalla pittura sul camino, era forse in origine la camera da letto di Petrarca. Il fregio decorativo sulla parte superiore delle pareti, al di sopra dei motivi in finto broccato a racemi di melograno, è in condizioni di conservazione tali da rendere poco leggibili le scene raffigurate. Si intravedono appena sulla parete a sinistra dell'ingresso una nave, sulla parete che dà adito allo studiolo una scena di uomini davanti ad una pozza d'acqua, a sinistra, e, a destra, un'altra fonte, sulla parete vicina, Petrarca seduto accanto ad una sorgente con un libro in mano e dinnanzi una donna con un fanciullo.
Molto probabilmente il riferimento è alla canzone petrarchesca Qual più diversa et nova, numero 135 del Canzoniere. La stanza era detta anche "camera della gatta": fino agli anni Settanta del Novecento sopra la porta di accesso allo studiolo si trovavano i resti imbalsamati della cosiddetta gatta di Petrarca, ora trasferiti nella stanza sottostante al pianterreno.
Studiolo deI Petrarca
In questo angusto locale della casa si vuole fosse ubicato lo studiolo del poeta, luogo di lavoro e di meditazione, dove egli conservava i suoi preziosi e amati libri, e dove nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1374 morì.
Le pareti mostrano ancora tracce della decorazione originale trecentesca: fascioni colorati con sotto un fregio costituito da uno stemma ricorrente, intercalato da festoni di fiori dal quale pendono motivi di finti tendaggi rossi e verdi.
Nello studiolo si conservano la seggiola e il vetusto armadio-libreria che sarebbero stati usati da Petrarca, secondo una tradizione attestata sin dal Cinquecento.
Stanza delle Visioni
Il fregio pittorico, ben conservato, presenta scene ispirate alla canzone petrarchesca Standomi un giorno solo a la fenestra, numero 323 del Canzoniere, detta Canzone delle visioni.
I riquadri prendono avvio alla sinistra del bel ritratto di Petrarca dipinto sulla sovrapporta dell'ingresso alla stanzetta di sinistra, simile alla testa bronzea della sala centrale.
Stanza di Cleopatra o dell'Africa o di Lucrezia
Nota come stanza di Cleopatra dal soggetto della pittura rappresentata sul camino, la stanza è detta anche dell'Africa o di Lucrezia.
Il primo nome le deriva dal ciclo di pitture, purtroppo molto rovinate, raffigurate nel fregio superiore delle pareti, ispirate all'Africa, poema latino di Petrarca che canta le gesta di Scipione l'Africano.
Il secondo nome deriva dal pregevole rilievo in stucco dipinto del XVI secolo che rappresenta l'eroina romana Lucrezia morente, posto nella nicchia sulla sovrapporta dell'ingresso alla stanzetta di destra. Sul camino, sopra la figura di Cleopatra morsa dagli aspidi, è rappresentata la poetessa Saffo mentre scrive nel suo studio e mentre si getta dalla rupe di Leucade. Ai lati del camino altre due pitture.
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